Alcune donne in menopausa affette da carcinoma duttale in situ (DCIS), potrebbero evitare, in futuro, la chirurgia e la radioterapia optando per il solo trattamento farmacologico orale al posto del bisturi. A suggerirlo sono i risultati di uno studio clinico condotto da un team americano coordinato da Shelley Hwang del Duke University Medical Center, pubblicato oggi sul Journal of Clinical Oncology con un editoriale di “accompagnamento” firmato da Matteo Lazzeroni dell’Istituto europeo di oncologia-Ieo di Milano (Divisione di Prevenzione e Genetica oncologica, diretta da Bernardo Bonanni) e Andrea DeCensi degli ospedali Galliera di Genova (Unità operativa complessa di Oncologia.
Tale studio, come è possibile leggere sulla rivista (una delle principali al mondo nel campo dell’oncologia), ha proposto una terapia ormonale preoperatoria con 2,5 mg al giorno di Letrozolo. Si tratta di un farmaco che blocca l’effetto degli estrogeni, a donne in menopausa con diagnosi di DCIS.
La loro neoplasia, scrive il Journal of Clinical Oncology, doveva essere positiva per il recettore ormonale degli estrogeni e considerata a basso rischio di recidiva. Dopo 6 mesi di trattamento orale, queste pazienti sono state comunque operate, ma nel 15% dei casi non c’era più evidenza di malattia residua. Nel fondo che correda l’articolo, Lazzeroni e DeCensi spiegano l’importanza di tale ricerca: “Questo studio è il primo che valuta l’effetto della terapia ormonale per i DCIS ormonoresponsivi, supportando sia la rilevanza che la fattibilità di studi futuri sulla sola terapia farmacologica a lungo termine come possibile trattamento elettivo per i DCIS al posto della chirurgia”.
“Una terapia ormonale a basse dosi – spiegano i due scienziati – è sicuramente una strategia promettente e rappresenta un importante passo avanti nello sviluppo di misure efficaci per la riduzione del rischio di cancro al seno, in primis per il suo migliore profilo di tossicità. Recentemente, aggiungono Lazzeroni e DeCenso, un “aggiornamento delle linee guida americane (ASCO) ha giudicato il farmaco tamoxifen, un altro antiormone, assunto a basse dosi (5 mg / die), una valida opzione per le donne con neoplasie in situ della mammella: questo aggiornamento si basa sui risultati di uno studio italiano, in cui il tamoxifen ad un quarto della dose standard per soli tre anni (contro i normali 5anni) ha dimostrato di ridurre del 50% il rischio di recidiva della malattia mammaria, senza effetti collaterali importanti”.
“A parte il problema della dose ottimale da proporre, i dati riportati dallo studio della prof.ssa Hwang con letrozolo sono molto incoraggianti e rappresentano un importante passo avanti nello sviluppo di strategie meno invasive per la riduzione del rischio di cancro al seno. L’approccio farmacologico alternativo alla chirurgia è attualmente adottato negli Stati Uniti per altre precancerosi mammarie (iperplasia duttale atipica e neoplasia lobulare in situ), ma non lo è ancora in Europa. Nelle suddette precancerosi un attento monitoraggio clinico-radiologico è associato ad una terapia farmacologica con tamoxifen. Al momento ci sono altri due studi di terapia farmacologica elettiva nei DCIS attualmente in corso. Attendiamo con molto interesse anche i loro risultati,” concludono i due ricercatori italiani.
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