Gli SGLT2 inibitori sono una nuova classe di farmaci utilizzata per la terapia del diabete. Questi farmaci riducono la glicemia, facilitando la perdita di glucosio attraverso le urine. Ma i loro vantaggi non si limitano a migliorare il compenso del diabete. Gli studi di outcome cardiovascolare condotti con gli SGLT2 inibitori hanno dimostrato infatti non solo la loro sicurezza ma anche una riduzione di eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con questi farmaci; gli studi effettuati finora in particolare dimostrano una riduzione del 30% dei principali eventi cardiovascolari (MACE); questi farmaci sono inoltre efficaci nel ridurre la comparsa di insufficienza cardiaca (riducono del 40% i ricoveri per questa condizione), tanto che oggi sono indicati anche nei soggetti a rischio-scompenso, a prescindere dalla presenza o meno di diabete. “Gli importanti risultati ottenuti con questi farmaci anti-diabete sulla riduzione degli eventi cardiovascolari – ammette il professor Andrea Giaccari, Direttore del Centro per le Malattie Endocrine e Metaboliche Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e professore associato di Endocrinologia, Università Cattolica, campus di Roma – hanno colto un po’ tutti di sorpresa. E a tutt’oggi i meccanismi attraverso i quali proteggono il cuore non sono noti. Per questo, sono in corso in tutto il mondo degli studi, che stanno vagliando una serie di ipotesi”. Anche la Fondazione Policlinico Gemelli ha dato il suo contributo di conoscenza, attraverso un piccolo ma significativo studio, condotto da ricercatori di varie specialità (diabetologi, cardiologi, medici nucleari, nefrologi) e appena pubblicato su Cardiovascular Diabetology*.
Lo studio DAPAHEART di fase 3, monocentrico, prospettico, randomizzato, in doppio cieco, controllato ha coinvolto 16 pazienti con diabete di tipo 2 che sono stati randomizzati al trattamento con dapagliflozin (10 mg/die) o placebo. Obiettivo primario era l’individuazione di alterazioni nella captazione di glucosio all’esame PET/TAC da parte del miocardio all’inizio dello studio e dopo 4 settimane dall’inizio del trattamento, nel corso di un clamp euglicemico iperinsulinemico. Obiettivo secondario era valutare se gli eventuali cambiamenti di captazione del glucosio fossero associati ad alterazioni del flusso miocardico e di riserva di flusso miocardico, misurati con la PET/TAC. I risultati dimostrano che gli otto pazienti trattati con dapagliflozin, hanno presentato un netto miglioramento della riserva di flusso coronarica, rispetto al gruppo di controllo.
“DAPAHEART – commenta il professor Giaccari – è il primo studio che dimostra che l’impiego di questo farmaco nei diabetici, migliora l’efficienza del microcircolo del cuore e quindi l’ossigenazione del miocardio e il trasporto di nutrienti al muscolo cardiaco. Questo miglioramento si evidenzia sia in condizioni basali, che sotto sforzo”. In termini tecnici insomma, questi farmaci aumentano la cosiddetta ‘riserva di flusso coronarica’, cioè la funzionalità del microcircolo cardiaco, quello che viene particolarmente danneggiato in caso di diabete. E questo spiegherebbe dunque perché questi farmaci siano in grado di ridurre sia gli eventi cardiovascolari ischemici, che lo scompenso cardiaco.
“La riserva coronarica – commenta il professor Filippo Crea, Ordinario di Malattie dell’apparato cardiovascolare all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e direttore dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – è un parametro che quantifica il funzionamento del microcircolo coronarico. Una riduzione della riserva coronarica è associata a una prognosi peggiore. Questa alterazione della riserva coronarica si osserva nel diabete, nell’ipertensione, nei pazienti con malattia coronarica e nell’insufficienza cardiaca. Non avevamo ancora a disposizione farmaci in grado di migliorare la funzione del microcircolo coronarico. Pertanto, questa sperimentazione clinica è la prima a dimostrare che un farmaco, la dapagliflozina, migliora la funzione del microcircolo coronarico. Questo studio conferma peraltro quello che con il dottor Domenico D’Amario abbiamo recentemente dimostrato in un modello sperimentale. Si apre pertanto una finestra terapeutica nuova, che potrebbe consentire di limitare gli effetti negativi di una riduzione della riserva coronarica sulla prognosi”.
“Le persone con diabete, soprattutto se ad aumentato rischio di cardiopatia ischemica e insufficienza cardiaca – conclude il professor Giaccari – dovrebbero dunque essere messe in trattamento con questa classe di farmaci. E oggi, grazie ai risultati di questo studio, sappiamo anche perché. Purtroppo dai dati di vendita, nonostante la prescrivibilità degli SGLT2 inibitori sia stata di recente ampliata ai medici di famiglia, con la cosiddetta nota 100 Aifa, risulta che non siano ancora utilizzati a sufficienza”.
Fonte news: Fondazione Policlinico Gemelli
* https://cardiab.biomedcentral.com/articles/10.1186/s12933-022-01607-4