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Fibrosi polmonare: l’alba di una nuova era per i pazienti

La fibrosi polmonare è una malattia molto seria, con una prognosi di vita da 3 a 5 anni dal momento della diagnosi. Purtroppo, tutti i nuovi potenziali farmaci testati per questa patologia nell’ultimo decennio sono falliti negli studi di fase 2 o fase 3. Ma ci sono importanti novità all’orizzonte. Al congresso annuale dell’American Thoracic Society (ATS, San Francisco, 16-21 maggio) sono stati presentati i risultati di due studi di fase 3, condotti con un nuovo farmaco, nerandomilast (Boehringer Ingelheim) sia su pazienti con fibrosi polmonare idiopatica o IPF (studio FIBRONEER -IPF), che nelle forme di fibrosi polmonare progressiva secondarie (studio FIBRONEER –ILD).

Il nuovo farmaco è un inibitore selettivo delle fosfodiesterasi 4B, a somministrazione orale, che potrà essere combinato anche con i farmaci preesistente (nintedanib, attuale farmaco anti-fibrotico di riferimento per questa malattia o pirfenidone). I due trial di fase 3 saranno pubblicati sul NEJM, contemporaneamente alla presentazione all’ATS domenica 18 maggio. Il professor Luca Richeldi (nella foto), ordinario di Malattie dell’apparato Respiratorio all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC di Pneumologia di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS,è Principal Investigator (PI) globale e primo autore dello studio sulla fibrosi polmonare idiopatica (confermandosi così uno dei maggior esperti mondiali sul tema) ed è uno degli autori dello studio sulle fibrosi secondarie, in quanto componente dello steering committee.

“La pubblicazione di questi due studi – commenta il professor Richeldi – rappresenta un passaggio epocale perché apre ad una nuova generazione di farmaci per questi pazienti, che hanno avuto finora a disposizione opzioni terapeutiche molto limitate e da ora in poi potranno anche giovarsi di trattamenti combinati con più farmaci. Nerandomilast, oltre ad aver dimostrato una chiara efficacia nel rallentare la progressione della IPF usato da solo, ha anche minori effetti collaterali delle terapie precedenti (il più comune effetto indesiderato è risultato essere la diarrea). Nella IPF, il farmaco ha ridotto la progressione di malattia di oltre il 50% nell’arco delle 52 settimane di durata del trial (lo studio ha randomizzato 1177 pazienti, trattati con nerandomilast 9 o 18 mg al giorno o placebo); e nelle forme di fibrosi non idiopatiche ha dimostrato di produrre anche una riduzione della mortalità. Questa duplice indicazione (sia per le forme di fibrosi idiopatiche che per quelle secondarie) rappresenta una novità perché consentirà di trattare uno spettro molto più ampio di patologie, rispetto a quello ristretto dell’IPF. Le forme non idiopatiche comprendono ad esempio le malattie polmonari secondarie a patologie autoimmuni o le patologie da esposizione o da farmaci. Un unico farmaco, il nerandomilast – prosegue il professor Richeldi – si è dimostrato efficace nel trattamento di patologie considerate finora molto diverse. E pur non ‘guarendo’ dalla fibrosi polmonare (una volta instauratosi il danno polmonare non regredisce), nerandomilast rappresenta un passo avanti epocale per il trattamento di questa condizione. Importante anche aver centrato un altro endpoint: il nuovo farmaco ritarda l’inizio dell’ossigeno-terapia che, nella mia esperienza, è estremamente invalidante per questi pazienti, al punto di limitare (e a volte cancellare) la loro vita sociale, determinando importanti ricadute negative sulla qualità di vita”.

“Il prossimo step al quale stiamo lavorando – rivela il professor Richeldi – sarà uno studio della durata di due anni in pazienti con la forma più precoce di malattia, detta ILA (interstitital lung abnormalities), trattati con nerandomilast per cercare di capire se trattare la malattia in fase preclinica o subclinica possa rallentarne ulteriormente la progressione e addirittura prevenire l’emergenza dei sintomi della fibrosi polmonare”.

Fonte news e foto: Policlinico Gemelli

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